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Solo : Walter Bonatti dal K2 al Dru
2024
Abstract
«Per Walter, la montagna si scala da soli e a mani nude, in punta di scarponi, con inventiva e rispetto, con ferri, chiodi e corde, mai per l’ansia di arrivare o per il vezzo di piantar bandiere. Adesso però qui non c'è nessuno. Nessuna voce, nessuno strillo, nessun titolo a sei colonne.
[...]
Eppure qualcosa non va.» Il 21 agosto 1955, dopo aver passato cinque giorni e quattro notti da solo sul pilastro sud-ovest del Petit Dru, una guglia di ghiaccio e granito nel massiccio del Monte Bianco, Walter Bonatti si trova in un punto cieco: bloccato su un piccolo gradino che sporge appena dalla parete verticale. Non può andare avanti e nemmeno tornare indietro. Oltre quei pochi centimetri di roccia su cui poggiano i suoi scarponi, il nulla, «un’aerea assenza di materia che affascina, schiaccia e risucchia». E pensare che aveva deciso di tentare l’impresa del Dru per esorcizzare il ricordo di una situazione altrettanto impossibile, verificatasi poco più di un anno prima dall’altra parte del mondo, quando era rimasto per una notte all’addiaccio in mezzo a una bufera di neve sotto la cima del K2, a ottomila metri di quota. Bonatti sente di essere di fronte al momento più difficile della sua carriera, ma anche al più esaltante: ha l’occasione di riscattarsi dalle polemiche in cui è stato trascinato dopo la spedizione nel Karakorum; e soprattutto di mettersi di nuovo alla prova, accettando la possibilità della fine. D’altra parte, per lui arrampicarsi è sempre stato qualcosa di intimo e personale. Scalare non significa conquistare una vetta, ma avventurarsi nell’ignoto, fronteggiare l’imprevedibile, sentirsi parte della montagna, assorbirne gli elementi, «la pietra e le venature, il gelo, il vuoto e il vento». In questo libro Alverà ripercorre magistralmente la parabola avvincente di un uomo che, sfidando prima di tutto sé stesso, ha scelto la scalata come un modo per comprendere la propria umanità, e giungere all’essenza delle cose.
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