Il libro discute alcuni aspetti della scienza economica italiana di fine Ottocento (e primi Novecento), alla luce anche del confronto tra le due principali riviste scientifiche del tempo: il Giornale degli economisti e La riforma sociale.
[...] È l'epoca che vide affermarsi il marginalismo con la riscoperta di Gossen e con le opere di Jevons, Walras e Menger, e nella quale dominarono molti altri economisti di sommo valore, tra i quali si collocano non pochi studiosi italiani, partecipi e protagonisti di una cultura che andava sviluppandosi a livello autenticamente internazionale, quali Pantaleoni, Pareto, de Viti de Marco, Mazzola, Barone, Nitti e molti altri ancora a fare da corona.
L'Italia unita muoveva i suoi primi passi. Inoltre, si usciva da una cultura economica confusa e balbettante. Vi erano perciò le condizioni adatte perché si potesse ricorrere agli ideali, all'immaginazione e alla fantasia per guardare ai concreti problemi del paese, in una varietà di posizioni riconducibili rispettivamente (e all'ingrosso) al liberismo del Giornale degli economisti di Pantaleoni, de Viti de Marco e Mazzola e agli orientamenti "storicistici" della Riforma sociale di Nitti. Si realizza così, dall'una e dall'altra parte, un intreccio robustissimo tra problemi economici, scienza dell'economia, metodo e indicazioni di politica economica, in un dibattito animato da studiosi che, non per caso, erano insieme economisti e militanti politici, idealisti e scienziati.
E forse qualcosa si è perso del modo di fare scienza economica in quel tempo. Per questi motivi, il libro, più che una semplice narrazione di fatti e teorie, vuole essere un invito alla riflessione attorno alla lezione senza tempo che hanno proposto i grandi che sono venuti prima di noi.